Papà bresciano e mamma coreana, Giuseppe Bergamaschi è un cittadino del mondo. Nato in Sud America, ha vissuto i primi anni di vita in Africa e sin da bambino ha interagito in un contesto multiculturale ricco di contaminazioni. La sua visione ampia del mondo è una qualità che ancora oggi fa di lui un uomo lungimirante sia nella vita sia nel lavoro. Benché non sia Torinese, ha vissuto all’ombra della Mole. Grazie al ruolo del padre, Amministratore Delegato del gruppo Fiat, ha conosciuto la Torino dei capi di stato, degli imprenditori, ma anche delle persone meno note. Amante delle sfide che il territorio gli pone, Giuseppe Bergamaschi si è specializzato nel campo tecnologico quando il settore era ancora agli esordi e ha fondato la Onevo Group. L’azienda è specializzata nella progettazione, prototipazione, produzione e fornitura per le imprese di tecnologie e servizi ICT all’avanguardia, dedicate alla gestione Smart dei settori City, Retail, Office, Bulding, Eventi, Mobility e Industry 4.0. Poiché, dice Bergamaschi, convivere è diverso dal semplice appuntamento di lavoro, dal 2014 ha creato infine degli uffici dedicati allo smart office in modo da ospitare altre aziende con le quali collaborare e creare una contaminazione di idee. Perché ScattoTorino lo intervista? Perché in epoca Covid-19 quest’uomo ricco di energia e di passione ha sentito l’esigenza di fare qualcosa per aiutare e in una domenica di pandemia ha realizzato i raccordi e le valvole stampate in 3d che permettono l’adattamento delle maschere da snorkeling di Decathlon per l’utilizzo in cpap. Quelle utilizzate nei reparti di rianimazione.
L’attenzione verso il prossimo è nel suo dna?
“I miei genitori hanno portato avanti una grande attività sociale in Sud America. Quando ero bambino e vivevamo là per il lavoro di mio padre, nei fine settimana ci recavamo nelle zone abitate dagli Indios per portare cibo e tutto ciò che mancava, inoltre costruivamo case, chiese, scuole e sviluppavamo l’allevamento. Utilizzavamo materiali di scarto come gli imballi in legno delle portiere delle auto che dovevano essere mandati al macero o i vetri difettosi delle macchine. Il metodo che papà aveva ideato era sostenibile ed ecologico. Quando gli stabilimenti erano chiusi, poi, i miei genitori organizzavano giorni di scuola per i bambini che non potevano frequentarla regolarmente”.
Avrebbe potuto seguire la professione paterna, invece ha optato per la tecnologia. Perché?
“Per è un tema in continuo divenire ed è sinonimo di ciò che è l’uomo: è curiosa, ha bisogno di evolvere e di scoprire aspetti nuovi della vita e lavora per migliorarli. All’inizio la tecnologia era per pochi e il mio compito era dare una prospettiva di sviluppo al settore, ad esempio facendo capire ai clienti la sua importanza non solo professionale, ma anche nella vita privata. Siccome credo che la specializzazione sia fondamentale, ho creato delle business unit con competenze mirate per ogni settore e successivamente ho interconnesso le diverse tecnologie – dall’informatica alla sorveglianza, dalla telefonia al web – per creare possibilità quasi infinite di utilizzo che portassero a innovazione, efficienza organizzativa e funzionale e ad un’economia sostenibile che puntasse all’ottimizzazione”.
Di cosa si occupa Onevo Group?
“È un’azienda tecnologica ICT e system integrator di telecomunicazioni, videoanalisi, networking, IoT, raccolta dati, sicurezza informatica e videosorveglianza che sviluppa tecnologie a supporto delle aziende e degli utilizzatori finali. La sua mission è migliorare le esperienze e renderle più fruibili, innovative e sicure in ogni ambiente. Onevo ha il compito di rendere interconnessi i luoghi, gli strumenti, le necessità, le persone con la massima attenzione verso l’esigenza dell’uomo e non del suo controllo. È in prima linea in questa rivoluzione grazie a tecnologie proprietarie sviluppate per i settori office, retail, building, industry e automotive e, con il supporto di partner di eccellenza, completa e integra la propria offerta con servizi a 360° su soluzioni innovative di piattaforme, design e arredi”.
Onevo e Salone dell’Auto Parco Valentino di Torino. Una partnership importante?
“Dalla seconda edizione abbiamo promosso quello che è stato un evento rappresentativo della città, condividendo i temi dell’innovazione, del design e della ricerca, da sempre orgoglio di Torino. Abbiamo sviluppato un nuovo ecosistema composto da Smart City, Smart Mobility, Smart Building e Smart Interior con il quale ognuno di noi vivrà e si confronterà nei prossimi anni. Siamo infatti consapevoli che i luoghi diventeranno ibridi e dovranno mutare in base alle esigenze degli utilizzatori e che la tecnologia contaminerà anche gli arredi, che diventeranno intelligenti. Il nostro lavoro ha riscosso molto successo e saremo presenti anche al Milano Monza Open-Air Motor Show dove ci occuperemo della parte tecnologica dell’evento”.
In che modo Onevo Group sta supportando la sanità durante la pandemia?
“In questi giorni la costante di molti è vivere in modo passivo la situazione, perché è difficile pensare di fare qualcosa di utile. Io invece avevo una grande energia, ma non sapevo come incanalarla. Poi una domenica a pranzo ho letto che a Brescia stampavano delle valvole 3D e lanciavano un appello a tutta Italia perché l’emergenza era ormai avanzata e ne avevano bisogno. Sono andato in ufficio, ho preparato e stampato tutto in modo da spedire già il lunedì successivo. Ho anche parlato con i collaboratori, che come sempre si sono dimostrati coesi, e abbiamo iniziato a lavorare senza sosta per produrre i raccordi e le valvole stampate in 3D che permettono l’adattamento delle maschere da snorkeling di Decathlon per l’utilizzo in cpap. Per intenderci, quelle usate nei reparti di rianimazione degli ospedali”.
Come è stato l’iter per consentire l’utilizzo delle valvole?
“Abbiamo contattato gli ospedali piemontesi per dare la nostra collaborazione e abbiamo iniziato un confronto proattivo con i medici per capire come usare questi strumenti, ma è stato tutto molto complesso. Il primo problema era reperire le maschere perché eravamo appena entrati nel lockdown, così abbiamo utilizzato Facebook per chiedere alle persone di donarcele e centinaia di contatti hanno risposto subito all’appello. Oltre al fatto che non potevamo incontrare i donatori e quindi non sapevamo come recuperare le maschere, c’era il problema che i dispositivi non sono medici né certificati. Abbiamo contattato la Polizia di stato, la Protezione Civile, i comuni, gli ospedali e le altre istituzioni per creare un protocollo funzionale. Il materiale non certificato può essere usato solo in caso compassionevole, quindi quando non si hanno altri mezzi, e abbiamo percorso questa via”.
A chi state dando i dispositivi di protezione?
“Abbiamo iniziato a collaborare con la Protezione Civile di Acqui Terme che si è occupato della distribuzione delle maschere agli ospedali. Abbiamo svolto un lavoro di igienizzazione, sanificazione, disinfezione all’ozono, montaggio e collaudo di ogni kit, che abbiamo consegnato agli ospedali e alle case di cura della zona di Acqui Terme e di Torino”.
Un altro problema è il reperimento delle mascherine. Come state procedendo?
“Abbiamo pensato ad una modifica della maschera da snorkeling di Decathlon per i medici e per il personale sanitario in modo da proteggere occhi, naso e bocca. Abbiamo progettato dei nuovi kit, che abbiamo stampato in 3D, che ci permettono di utilizzare dei filtri usati in ambito medico, militare e agricolo, per cui meno difficili da reperire, con una protezione garantita al 99% e una ventilazione sufficiente che permette di non far appannare la maschera. Questi filtri costano meno delle mascherine fpp2 e fpp3 e durano di più: la mascherina usata dal personale medico, infatti, dopo 4 ore deve essere buttata via, mentre i filtri durano dalle 24 ore ad oltre un mese. Abbiamo studiato i pezzi in ospedale e cercato velocemente la tecnologia più adatta e il materiale utilizzabile. Inoltre non tutti i filtri, i raccordi e le valvole hanno la stessa misura per cui ci è stato richiesto dalla Protezione Civile di riadattarli e in meno di 24 ore lo abbiamo fatto. Si sono complimentati dicendo che i nostri prodotti sono precisi e di qualità. Sono contento di contribuire ad aiutare in questo stato di emergenza”.
Torino per lei è?
“È una città che scelgo perché mi ci sono ritrovato a vivere, ma è anche una scelta confermata. È a misura d’uomo e ha un valore storico e artistico importante. Torino è una piazza dura perché non si apre subito alle nuove idee, ma se si riesce qui, si riesce anche altrove e questo è stimolante. Spesso a Torino nascono delle eccellenze che poi vengono abbandonate perché non si hanno le risorse per sostenerle. Avremmo bisogno di consolidare le capacità e valorizzarle nel territorio perché quando l’innovazione fatta con coscienza si unisce alla tradizione al buon gusto, si crea un luogo di cultura e qualità”.
Un ricordo legato alla città?
“Da bambino andavo al Club Scherma Torino che ha sede presso il parco del Valentino e a pranzo, con mia madre, consumavamo un panino al Giardino delle rose e dopo facevamo una passeggiata fino in centro. Questo ricordo mi ha indotto ad essere partner del Salone dell’Auto Parco Valentino: volevo fornire dei servizi e metterlo in sicurezza perché volevo valorizzarlo”.
Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto